Comasco Comaschi, un eroe dimenticato dall'amministrazione leghista

Cronaca
Cascina
Mercoledì, 20 Marzo 2019

Ricorreva ieri l'anniversario dell'assassinio da parte delle camicie nere di Comasco Comaschi, dall'amministrazione di destra il silenzio di chi ha solo interesse a dimenticare un eroe antifascista

Era il 19 marzo 1922 quando di ritorno da una riunione a Marciana, Comasco Comaschi percorreva Via del fosso vecchio. Qui subì un agguato da parte di un gruppo fascista (mai da soli sempre in branco). Era con alcuni compagni di lotta: Pietro Bindi, Guglielmo Vagelli e Giovanni CateniComasco venne colpito alla tempia da un colpo di rivoltella e morì immediatamente. Fu vano ogni tentativo di salvarlo nonostante i compagni lo avessero immediatamente trasportato alla Pubblica Assistenza di Cascina, che lui stesso aveva contribuito a fondare.

Sono passati 97 anni e ieri ci celebrava l’anniversario delle morte di un uomo libero che si è battuto per la libertà delle idee e per la democrazia. Dall’amministrazione comunale di Cascina, guidata da Susanna Ceccardi, colei che in campagna elettorale gonfiava il petto ricordando ad ogni piè sospinto il nonno partigiano, solo silenzio, un silenzio assordante che arriva da parte di chi è troppo impegnato a fare altro e non ha tempo e sensibilità per ricordare Comasco Comaschi nel giorno del suo assassinio da parte dei fascisti. Al monumento che lo ricorda oggi, c’è un semplice mazzo di fiori, messo lì dalla nipote di Comasco Comaschi, Simona, che oggi vive all’isola d’Elba, ma che non ha dimenticato né il nonno ne tutto quello che lui ha fatto per la liberta della sua terra. Attaccato ai garofani rossi, un biglietto con scritto: "per non dimenticare", un monito rimasto purtroppo inascoltato.

Nato il 27 ottobre 1895 a Cascina, da Ippolito e Virginia BacciardiComasco si formò in un contesto cittadino che basava la propria economia sulla presenza di piccoli artigiani, come il padre intraprese l’attività di Ebanista e come il padre, che già dal 1880 era militante nel movimento anarchico, divenne uno dei più importanti promotori della sezione locale della Pubblica Assistenza e insegnante alla scuola d’Arte di Cascina.

Fu un punto di riferimento importante della sezione di Cascina degli “Arditi del popolo” vuoi per il suo animo coraggioso, vuoi per la sua militanza coerente e tempestiva in un contesto storico successivo al Biennio Rosso che aveva determinato l’affermarsi dello squadrismo fascista in tutta Italia. Comasco era un giovane noto e stimato per la sua profonda umanità che lo aveva portato a lottare e schierarsi dalla parte degli umili e diseredati. Era “figlio spirituale di Leone Tolstoi e Pietro Gori” dai quali aveva appreso la profondità della dottrina umanitaria e l’alta dedizione morale. A testimonianza di questo, nel 1921, difese con estremo valore alcuni suoi allievi della Scuola d’Arte i quali erano stati minacciati da un gruppo di fascisti affinché aderissero al fascismo.

Ed il fascismo nei primi anni ’20 esplose con tutto il suo carico di violenza e di repressione nei confronti di coloro che avevano un pensiero diverso da quello folle, ai limiti della pazzia, delle camice nere. Nel 1921 iniziarono anche a Cascina ed in provincia di Pisa i primi atti di violenza, tollerati e talvolta appoggiati dalle forze di Polizia, da parte delle squadre fasciste. La reazione delle forze democratiche, ed in particolare del partito socialista, fu piuttosto debole e le violenze fasciste continuarono ad aumentare fino a convogliare nella nascita di numerosi Fasci di combattimento diffusi in tutta la provincia di Pisa.

A metà del 1921 il ruolo di Comasco Comaschi e degli Arditi del Popolo fu importante nella lotta antifascista, ma ben presto l’organizzazione vide i proprio uomini ridursi da 200 a soli 50. Questi, guidati da Comasco Comaschi nell’agosto del 1921 irruppero durante la cerimonia di Fondazione del Fascio di Cascina, sventolando la bandiera nera del gruppo anarchico.

Facile immaginare che l’ebanista ed insegnante cascinese divenne ben presto l’obiettivo delle squadracce fasciste. Già 40 giorni prima della sua uccisione, era il 7 febbraio 1922 venne inseguito e bastonato da 150 fascisti. Si, centocinquanta, 150 contro un solo uomo. L’episodio turbò fortemente la famiglia ed il fratello Vasco, quasi prevedendo l’irreparabile, gli propose di fuggire da CascinaComasco, vuoi per non abbandonare la “sua” scuola, vuoi per non passare da vigliacco rifiutò e così si arriva al quella tragica vigilia di primavera del 1922.

massimo.corsini