Intervista a Francesco Gesualdi, allievo di Don Milani: “ripartiamo dalle persone”

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Sabato, 15 Luglio 2017

Ho incontrato Francesco Gesualdi nella campagna fuori la piccola cittadina di Vecchiano, città natale, peraltro, del grande Antonio Tabucchi. Ci accomodiamo in una grande sala fresca e spaziosa, di quelle dei grandi cascinali, le pareti stracolme di scaffali di libri.

  • Che significato ha avuto la visita di Papa Francesco a Barbiana? Lei era lì?

“A Barbiana non ci sono potuto andare, ma con quel gesto si è riabilitata la Chiesa stessa anche se, nello specifico, non c’era da riabilitare nessuno. Va ricordato che il Pontefice ha visitato pure la tomba di Don Mazzolari, a Bozzolo. Sono entrambi, Don Lorenzo Milani  e Don Primo Mazzolari, due uomini che hanno vissuto attuando in toto il messaggio del Vangelo, il cui cuore è la liberazione dell’uomo.

  • Nello specifico, il contenuto della Lettera a una professoressa è il vero testamento lasciato da Don Milani?

È un messaggio di estrema attualità: all’epoca denunciava un atteggiamento della scuola che si ergeva ad arbitro. È così ancora oggi, anzi, forse la situazione si è aggravata da quando il mercato è entrato nelle istituzioni scolastiche. Il merito si contrappone al diritto, dove di fatto, come nella vita reale, il migliore spesso si identifica con il più scaltro o il più furbo. È una scuola e lo era anche allora, molto nozionistica, che prepara ad essere dei bravi tecnici e non dei bravi cittadini, perfetti esecutori ma dei perfetti “imbecilli” se si deve valutare la realtà. La Scuola di Barbiana non era una palestra dove chi più corre veloce più diventa bravo, non si decideva chi buttare fuori; la Scuola di Barbiana, oltreché a insegnare valori come l’uguaglianza e la libertà, incarnava esattamente il principio di Calamandrei secondo cui la Scuola è un’istituzione Costituzionale. Ci insegnava una cosa fondamentale: conoscere e, ben più importante, giudicare la realtà per non esserne succubi.

La scuola per Don Milani doveva essere una scuola facile, perché la via al sapere fosse piacevole e stimolante, noi, i ragazzi a Barbiana eravamo al centro. Il suo unico obiettivo era fornirci gli strumenti per renderci liberi, la sua era una scuola di Pensiero.

Trovo abominevole il tentativo di discredito operato  nei suoi confronti, di quel sospetto di pedofilia che alcuni autori, tra cui Siti hanno messo in giro. E’ puro gossip per vendere il proprio libro. Don Milani ha dedicato la sua intera esistenza a noi, i suoi ragazzi, il suo era un amore come può essere quello di un padre o di una madre verso i propri figli: su quale base si sposta questo sul versante della sessualità? Quello operato nei suoi confronti, nel corso degli anni, è un’opera di incomprensione totale. Ma non mi stupisce, è un’epoca di profonda superficialità. Immaginati cosa poteva significare essere spediti a Barbiana negli anni ’50, lui, una persona coltissima, abituata a ragionamenti sottili, a stretto contatto con persone che di umano apparentemente non avevano quasi nulla. Non c’era acqua corrente, non c’era elettricità, persino i preti mugolavano. E lui ha fatto di un esilio una scuola per tutti noi.

  • Oggi si occupa del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, qui a Vecchiano: c’è una continuità con la sua formazione?

Nella vita di una persona c’è sempre una continuità, Don Milani ci aveva insegnato la praticità che si incarna nel sapere, ci ha creato tutti diversi. Io ho deciso di occuparmi di relazioni internazionali di politica, di economia. In questo centro siamo quattro famiglie che si occupano di accoglienza, supporto a persone che ne hanno forte bisogno di intraprendere un percorso. Ci siamo occupati anche di minori tramite l’affido familiare.

Inoltro collaboro con riviste online come Pressenza, ma ultimamente anche con Avvenire: mi concentro principalmente sulle contraddizione della nostra epoca. Mi sono anche impegnato per l’obiezione fiscale per le spese militari, cioè ci tratteniamo la quota che sarebbe destinata agli armamenti e la destiniamo a progetti di pace. La reazione fu il rischio di pignoramento, ma ovviamente se fossimo stati in migliaia, per lo Stato sarebbe stato più difficoltoso reagire. Inoltre ci occupiamo anche di divulgazione, per favorire la conoscenza e, fortunatamente, abbiamo molti contatti con altre gruppi di forza popolare e non è poco.

  • Passiamo alla nostra realtà: lei ha scritto un articolo, intitolato “né liberisti, né protezionisti”: cosa intende per economia comune?

I veri soggetti ormai sono i mercanti, cioè le imprese. Dagli anni ’80 in poi (dopo la deregulation operata dai governi neoliberisti di Reagan negli USA e Thatcher in UK, ndr) era impossibile che rimanessero confinate all’interno degli stati nazionali. Il primo passo fu la creazione dell’Unione Doganale Europea, poi anche’essa fu superata, ed eccoci alla più totale globalizzazione finanziaria. Oggigiorno i partiti populisti hanno saputo intercettare il malcontento  delle persone, sempre più precarizzate e impoverite. Io penso che si debba finirla di ragionare stando dalla parte dei predatori, dei leoni ad esempio, e iniziare a ragionare con l’ottica inversa, quella delle gazzelle: la mia soluzione è comunitaria, un’economia solidale che mette al centro i reali bisogni delle persone, tenendo conto dei limiti che l’ambiente ci pone. Ripartiamo da qui, dalle persone, con scambi equi con altre comunità. Questo significherebbe anche risolvere il problema dell’immigrazione, “aiutandoli a casa loro” veramente, il che implica fare giustizia di diversi secoli di saccheggi coloniali, che hanno impoverito  tantissime zone, costringendo le persone a fuggire. Noi ci lamentiamo a causa dell’afflusso, ma tieni conto che un paese come l’Uganda accoglie 400.000 profughi dal Sud Sudan ed è un paese con un reddito pro capite di 700 dollari annui; un normale paese occidentale arriva a 25.000 dollari annui.

Dobbiamo eliminare i processi di ingiustizia e per questo ci dovremmo chiedere: quanto dovremmo dare loro per quanto hanno perso a causa nostra.

in foto: Francesco Gesualdi e Jacopo Artigiani.

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