L’imprenditore ambizioso e il presidente razionale. Giuseppe Corrado prepara la valigia per un metaforico viaggio verso Pisa e porta con sé la forte volontà del progetto stadio

Sport
Mercoledì, 16 Maggio 2018

Il presidente del Pisa Sporting Club, Giuseppe Corrado si racconta ai microfoni di Massimo Marini in una lunga ed interessante intervista andata in onda martedì 15 maggio nel corso della puntata della trasmissione “Il NeroAzzurro” su Granducato TV che trascriviamo di seguito e di cui alleghiamo l’estratto video.

di Valentina Mazza

Riavvolgiamo il nastro della storia di Giuseppe Corrado, una storia che va oltre questo primo anno e mezzo di gestione calcistica a Pisa.  Nato in Piemonte, laureato in Economia e Commercio e subito impiegato nell’area di pianificazione e controllo alla Olivetti, poi alla IAO società componentistica di automobili e alla Carello produttrice di fanali. Parmense di adozione da quando a Parma vi si trasferisce per motivi professionali, accettando una proposta da Barilla, che lo porta in giovane età a liberare il suo estro professionale e ad impiegare le sue capacità intuitive commerciali, trasformandolo in uomo di numeri a uomo di marketing.

Manager si nasce o si diventa?

Essere manager è come essere calciatore, si nasce, ma si può perfezionare con il lavoro e con la pratica. Serve il DNA giusto, deve esserci qualcosa che ti porta a dire di voler gestire, di voler trasformare e voler migliorare. Fu questo che mi spinse ad andare a Parma da Pietro Barilla, il quale, nonostante io fossi giovanissimo, mi diede totale fiducia per il mio lavoro e per la mia carriera, una carriera che per la prima volta mi ha portato lontano dalla mia città.

Quella del manager è una professione in cui serve determinazione e autostima così come serve nella vita, perché aiuta a sapersi difendere dagli altri, senza fiducia in se stessi non si può credere di essere migliori, e si può soccombere.

Per fare il manager serve intraprendenza, sicurezza, e quella dose di capacità di saper rischiare in maniera oculata e ci vuole cuore. Pietro Barilla mi ricordava una frase del filosofo Jefferson, “Alla fine, nella vita ci vuole tanta fortuna ma chi lavora di più è più fortunato”.

Si, ci vuole anche una dose di follia come diceva Steve Jobs, perché aiuta a non avere remore ma ci vuole anche la razionalità perché aiuta a correggere e controllare la follia.

Una cosa su cui bisogna fare attenzione è la creatività, essa non è idea di marketing come spesso qualcuno confonde, la creatività strutturata come percorso virtuoso può esserlo, ma diversamente può diventare anche un boomerang.

La storia dice che il gruppo della tua famiglia è un gruppo di management di alto profilo, trasferendola al calcio, quando è stato mutuato quel percorso manageriale per farlo diventare qualcosa di successo anche nel calcio o quanto avete imparato che nel calcio si può imparare qualcosa di diverso dalle precedenti esperienze?

In tutti i settori merceologici si impara sempre qualcosa di diverso, io sono passato dalla pasta, ai prodotti da forno, alla pubblicità, al cinema. Un manager se è bravo, è bravo in qualsiasi settore, si mutua sempre ed ogni esperienza è propedeutica alla prossima.

Il calcio è un settore, che non avevo mai frequentato da manager ma da consulente, mi occupai di un progetto di rivitalizzazione del Milan, anche se per me in quel momento fu prioritario occuparmi di cinema.

Il cinema ha delle grandi analogie col calcio, tutti ne parlano, tutti credono di saperne, tutti lo amano, tutti lo seguono, pero poi alla fine l’imprenditore ci rimette sempre perché poi il film non sempre riesce a dare marginalità alle sale, così come gli stadi non sempre hanno occupati i loro posti. E poi c’è la grande similitudine tra il calciatore e l’attore, l’allenatore ed il regista.

Ci siamo avvicinati da poco nel calcio, non posso dire di avere fatto imprese di successo, ma posso dire di aver fatto un’acquisizione difficile... che è quella del Pisa.

Che film è il Pisa?

Per il momento... un film del terrore! Spero che diventi un film d’amore e di emozione.

Sono ironico, è una battuta, ma effettivamente l’acquisizione del Pisa è stata ponderata, è chiaro che noi presi dalla fretta, dal trasporto del sentimento che ci soffiava aria positiva dai tifosi, dall’ambiente abbiamo accelerato tempi che per chi viveva a Pisa erano lunghissimi.

Se tu dovessi fare un cartellone pubblicitario per la prima del Pisa, come lo faresti?

Pisa è una storia appena iniziata, una storia possibile che purtroppo è cominciata ed è dovuta ricominciare, a causa della retrocessione, che è stata un dazio ulteriore di un’operazione già di per sé costosa. I nodi vengono al pettine dopo e vanno onorati.

Se tu avessi la possibilità di riavvolgere il nastro, rifaresti tutto quello che hai fatto?

Si, lo farei sotto l’aspetto del trasporto emotivo perché tutto quello che è una sfida mi appassiona, anche se pensando a tante cose che in questi mesi mi hanno deluso, mi hanno portato a dire che forse sapendole, non avrei più fatto ciò che ho fatto.

Tante cose mi hanno emozionato, entusiasmato, come la passione, l’ambiente, i tifosi, ma tante altre mi hanno deluso perché ho visto che chi manifestava amore e affetto per il Pisa, nel caso in cui potesse avere rapporti professionali o commerciali ha avuto un atteggiamento diverso da ciò che mi sarei aspettato da chi professava amore.

È vero che è un mondo ingrato quello del calcio? O è la vita così?

Non lo so, la gratitudine nella vita è una parola che si vede solo da lontano e che riguarda poche persone. Riconoscenza e gratitudine, non ci sono quasi mai nella vita, perché la memoria delle persone è corta, non si ricordano mai di azioni o promesse fatte.

Questo non è il mio modo di intendere la vita perché io, rinuncio a qualche mese di vita ma non ad una parola data ed è stato questo che forse ci ha fatto sottovalutare alcune cose che abbiamo fatto, perché abbiamo dato l’impegno di portare a termine le parole date.

Corrado, ha fatto molte cose, ha avuto molte esperienze. Il Pisa è un esperienza da catalogare in queste esperienze della sua famiglia oppure è qualcosa di diverso dagli step precedenti?

Ogni cosa, aggiunge valore e aggiunge negatività, anche questa lo ha fatto e non è un’esperienza diversa. Nel mio passato ho avuto imprese professionali che mi hanno riempito di orgoglio ma che sono state difficilissime. ricordo quando passai da Barilla a Fininvest, a fare l’amministratore delegato delle “Pagine Utili”, andavo al capezzale di un’azienda in crisi, considerata irrecuperabile da Fininvest e dalla famiglia Berlusconi e chi mi è stato vicino mi chiedeva sempre chi me l’avesse fatto fare, ma l’orgoglio di riuscire in un’impresa difficile era maggiore.

Nel calcio però, rispetto al business che ha concetti più razionali, è che c’è la componente di un risultato sportivo che non dipende solo da fattori oggettivi, perché una politica commerciale che si innesta in un mercato, può avere dei costruttivi e può esser strutturata portando comunque a dei risultati positivi. Nel calcio invece, c’è l’imponderabile di un risultato, di un filo d’erba, di un fischio di un fuorigioco, di un terreno pesante che condizionano il risultato e che possono essere tradotte in perdita di punti e anche solo la perdita di un punto per queste variabili, può vanificare il lavoro di un intero anno.

L’epilogo di una squadra di calcio non è dissimile da un’attività commerciale. Ad esempio penso che il movimento della Serie C vada ricondotto e reinterpretato, perché i consuntivi di una stagione parlano di una perdita di 70/80 milioni.

Manca la sostenibilità, gli introiti, i contributi. Tempo fa in una riunione in Lega, molti presidenti si domandavano perché da imprenditori riescono a non fallire e da presidenti di squadre di calcio si, e io ho dato la mia interpretazione anche se sono neofita. Queste variabili, sono la realtà dei fatti ma questo accade perché l’imprenditore che fa calcio non si comporta da imprenditore, ovvero se apriamo un negozio e non rende e non ha successo, devo o riconvertirlo o chiuderlo per non rimetterci.

Come presidente del Pisa ho visto tutte le partite, sono andato in campi dove ci sono 150 spettatori, e penso che se quell’evento non interessa a quel territorio significa che quell’aspetto sociale non è interessante e l'imprenditore se si comportasse da imprenditore commerciale, non potrebbe continuare a gestire quella squadra, è inutile tener viva una squadra che non genera interesse.

Questo ovviamente non vale per Pisa ma se facessimo una selezione naturale di queste società, probabilmente le squadre di serie C sarebbero 20.

Tanti approcci imprenditoriali andrebbero adattati al calcio anche se, poi è chiaro che c’è l’aspetto emotivo e le emozioni ti fanno perdere di vista la realtà, ma questo un presidente non dovrebbe mai farlo.

Il tifoso, il presidente e il giornalista dovrebbero vedere la partita in ottica diversa e con emozioni diverse proprio per questo motivo.

Il calcio è fatto di speranza mai di certezza.

Io sono un tifoso Juventino che da piccolo aveva la maglia granata, poi a 10 anni entrai nella scuola calcio nelle giovanili della Juventus, avevo come allenatore Mario Pedrale e dopo qualche anno diventai Juventino, conobbi il presidente Boniperti, e diventai amico del figlio, frequentando la sua famiglia.

Chi è Michel Platini del Pisa?

Non voglio fare differenze ma direi Di Quinzio. Ha il numero 10, piede felpato, sa battere benissimo le punizioni ed è più serio di Platini. Abbiamo prospettive importanti.

Dino Pagliari usava spesso questa metafora: il viaggio. Quando parlava di viaggo, da inguaribile romantico mi affascinava, perché un viaggio significa che tutti con un solo mezzo andiamo verso uno stesso percorso.

A che punto siamo di questo viaggio?

Siamo all’inizio, siamo appena partiti, è un viaggio che non ha mete. Abbiamo la fortuna di avere spazio davanti a noi, deve essere un viaggio interminabile, più è lungo più sarà bello e in questo viaggio avremo molte tappe da conquistare ma non avrà mai limiti, non perché siamo arroganti ma perché siamo ambiziosi e non dobbiamo accontentarci.

Il viaggio ha sportivamente senso perché non porsi limiti è una sfida continua, giornaliera, con obiettivi e risultati sempre migliori da raggiungere.

Presidente, come vede il suo futuro a Pisa?

Sono ambizioso ma sono anche razionale. Vedo il mio viaggio come un percorso prestabilito che vorrei chiudere con una prima tappa con qualche obiettivo conquistato.

Il mio futuro dipenderà anche da come sarò vissuto dalla città, dai tifosi. Quello che oggi appare oro, domani potrebbe sembrare bronzo. Le emozioni, il tifo, fanno dimenticare troppo in fretta da dove si è partiti e cosa si è fatto insieme. Questo non mi spaventa, se una persona ha sicurezza, credibilità, etica, serietà, saprà nel tempo farsi apprezzare.

Immaginiamo che per questo viaggio Lei cammini per strada con un trolley, dentro c’è lo stadio o porta con sé qualcos’altro?

Dentro ci sono tante speranze di fare delle cose che ci riempirebbero di orgoglio. La cosa più bella per uno come me, che ama fare regali più che riceverli, è metterci la gioia da regalare ai tifosi per un risultato raggiunto. Questo vale più di un interesse, di un obiettivo, del miglioramento della categoria che ti porta magari introiti pubblicitari maggiori.

Lo stadio... Lo stadio non vorrei fosse stato equivocato, frainteso perché in questi mesi magari ci sono state speculazioni. Lo stadio è un’esigenza di una squadra, Pisa in particolare. Abbiamo sempre avuto sostegno da parte di tutti e dalle amministrazioni che ci hanno sempre sostenuto e spronato ad andare avanti, a concludere l’operazione... poi, ci siamo resi conto che i limiti erano tanti, oltre ai debiti, legati all’operatività del progetto, un centro sportivo assente, uno stadio fatiscente e sapendo che i comuni hanno delle difficoltà oggettive, per cercare di andare avanti, ci siamo fatti partecipi della promozione del progetto che potesse portare alla società quello che serviva sportivamente, e al Comune un centro sportivo che potesse integrarsi nelle grandi opportunità che Pisa ha e che non sono sfruttate al massimo a livello turistico.

Abbiamo così ipotizzato la ristrutturazione dello stadio nella sua sede attuale, in quella che è la casa dei tifosi e l’Amministrazione lo ha apprezzato perché crea valore alla città, offre lo stadio alla squadra della città, ricopre delle funzioni sociali e crea così per il Comune un valore senza investimento di denaro.

L'intervista in versione integrale realizzata da Massimo Marini per Graducato TV

Nel caso in cui, questo fosse ritenuto un percorso difficoltoso, noi avremmo e accetteremmo qualsiasi altra soluzione, ma noi, ci aspettiamo comunque uno stadio perché come società di una squadra di calcio ne abbiamo la necessità. Siamo clienti, affittiamo uno stadio, basta che ci venga dato, ristrutturato in qualsiasi altra maniera, perché nel caso in cui non ci fosse, dovremmo chiedere ospitalità.

Questo non significa che c’è un altro piano, ma solo la forte volontà da parte di nostra di volere uno stadio.

Non spingiamo la progettualità per accelerare i tempi, questo semmai dovrebbe essere interesse del Comune. Il Comune è il padrone di casa e se questo mi dicesse che fra 15 mesi potrei avere lo stadio a 10 km da qui mentre per la sede attuale ci vogliono 3 anni, io preferirei anche andare a 10 km da qui.

Non vorrei che qualcuno avesse equivocato che noi vogliamo fare lo stadio.

Noi vogliamo avere lo stadio.

Abbiamo soltanto aiutato il Comune ad averlo nella maniera più facile possibile.

Pensando ai Playoff, c’è qualche squadra che vorresti evitare di incontrare?

No, io non dico questo. Io dico che se fossi il Presidente di un’altra squadra che mastica calcio, avrei paura di incontrare il Pisa, mi preoccuperei di una formazione come quella del Pisa. Credo che, e questo l’ho pensato solo da tifoso, una squadra che vuole avere l’ambizione e la volontà di vincere, non deve avere paura di incontrare l’avversario, perché tanto prima o poi li incontreremo tutti se vogliamo arrivare in fondo.

Posso solo dire che mi piacerebbe non incontrare una squadra del sud al Primo Turno, per motivi logistici perché questi Playoff, per esigenze di calendario, numeri delle squadre, hanno avuto pressione di essere organizzati in maniera pericolosa e logisticamente per qualche squadra è penalizzante, nonostante il vantaggio del ritorno in casa.

Quanti spettatori in più avremo all’Arena Garibaldi per questi Playoff?

Da una riunione in Prefettura, è emerso che sarà fatto il possibile per accontentarci. Io in questo meccanismo, sono il capo dei tifosi. Abbiamo chiesto il massimo e credo che le deroghe per i limiti infrastrutturali legati alla normativa antisismica, concesse in passato non siano più permesse. Io vorrei il massimo per dare accesso ai tifosi a ciò che loro amano, lo spettacolo di un playoff, per soddisfare la società non perché con 1000/2000 persone in più cambino gli incassi, ma io voglio tanta gente perché voglio un clima particolare perché queste partite si vincono quando dal sottopassaggio si sale la scaletta e si sente il boato dello stadio. L’avversario lo sente il rumore dello stadio e il nostro pubblico, che ci ha sempre aiutato, con uno stadio pieno con il clima euforico anche quando siamo retrocessi, con la bolgia e le coreografie che sappiamo creare, ci dà delle opportunità per far sentire il fattore campo.

Grazie, in bocca al lupo Presidente ma soprattutto... buon viaggio.

Speriamo che il viaggio sia pieno di soddisfazioni, ne avremo meritata qualcuna in più che non abbiamo avuto, ma sono certo che arriveranno.

 

redazione.cascinanotizie