122 anni fa, nasceva Comasco Comaschi

Cronaca
Politica
Cascina
Venerdì, 27 Ottobre 2017

Il 27 ottobre 1895 nasceva a Cascina Comasco Comaschi. A distanza di 122 anni è un nome che volente o nolente ricorre spesso nella mente e nelle parole dei cascinesi se non altro per indicare una delle strade più importanti del centro. Ma chi era Comasco Comaschi e perché suo malgrado divenne celebre a tal punto da lasciare impresso il suo nome nella memoria storica di Cascina?

Nacque dove ha sempre vissuto, a Cascina, da Ippolito e Virginia Bacciardi. Comasco si formò in un contesto cittadino che basava la propria economia sulla presenza di piccoli artigiani, come il padre intraprese l’attività di Ebanista e come il padre, che già dal 1880 era militante nel movimento anarchico, divenne uno dei più importanti promotori della sezione locale della Pubblica Assistenza e insegnante alla scuola d’Arte di Cascina.

Divenne ben presto il punto di riferimento della sezione di Cascina degli “Arditi del popolo” vuoi per il suo animo coraggioso, vuoi per la sua militanza coerente e tempestiva in un contesto storico successivo al Biennio Rosso che aveva determinato l’affermarsi dello squadrismo fascista in tutta Italia. Comasco era un giovane noto e stimato per la sua profonda umanità che lo aveva portato a lottare e schierarsi dalla parte degli umili e diseredati. Era “figlio spirituale di Leone Tolstoi e Pietro Gori” dai quali aveva appreso la profondità della dottrina umanitaria e l’alta dedizione morale. A testimonianza di questo, nel 1921, difese con estremo valore alcuni suoi allievi della Scuola d’Arte i quali erano stati minacciati da un gruppo di fascisti affinché aderissero al fascismo.

Ed il fascismo nei primi anni ’20 esplose con tutto il suo carico di violenza e di repressione nei confronti di coloro che avevano un pensiero diverso da quello folle, ai limiti della pazzia, delle camice nere. Nel 1921 iniziarono anche a Cascina ed in provincia di Pisa i primi atti di violenza, tollerati e talvolta appoggiati dalle forze di Polizia, da parte delle squadre fasciste. La reazione delle forze democratiche, ed in particolare del partito socialista, fu piuttosto debole e le violenze fasciste continuarono ad aumentare fino a convogliare nella nascita di numerosi Fasci di combattimento diffusi in tutta la provincia di Pisa.

La prima vittima della violenza fascista pisana fu Enrico Ciampi, ucciso a San Casciano il 4 marzo del 1921. Insieme al figlio Silvio aveva lasciato il Partito Socialista ed aveva fondato a Barca di Noce un movimento antifascista, il più forte a livello locale. Proprio in questo periodo e in questo territorio la squadra fascista, guidata dal marchese Domenico Serlupi, terrorizzava i cittadini. In occasione di una rivolta antifascista nei pressi della villa Serlupi, il marchese aprì il fuoco e ferì Enrico Ciampi che morì a seguito delle ferite riportate.

Un altro avvenimento che rese ancor più evidente quanto ormai l’ideologia fascista si fosse diffusa fu l’omicidio di Cammeo. Il 13 aprile un gruppo di giovani aspiranti fascisti, aiutati da alcune donne (tra cui si ricorda Nissim Rosselli), uccisero con due colpi di rivoltella il maestro Carlo Cammeo nel cortile della scuola dove stava tenendo lezione. Questo terribile delitto scosse fortemente l’opinione pubblica tanto che i partiti politici decisero di far fronte al pericolo fascista istituendo un Comitato Antifascista Unitario composto da comunisti, anarchici e socialisti.

A metà del 1921 il ruolo di Comasco Comaschi e degli Arditi del Popolo fu importante nella lotta antifascista, ma ben presto l’organizzazione vide i proprio uomini ridursi da 200 a soli 50. Questi, guidati da Comasco Comaschi nell’agosto del 1921 irruppero durante la cerimonia di Fondazione del Fascio di Cascina, sventolando la bandiera nera del gruppo anarchico.

Facile immaginare che l’ebanista ed insegnante cascinese divenne ben presto l’obiettivo delle squadracce fasciste. Già 40 giorni prima della sua uccisione, era il 7 febbraio 1922 venne inseguito e bastonato da 150 fascisti. Si, centocinquana, 150 contro un solo uomo. L’episodio turbò fortemente la famiglia ed il fratello Vasco, quasi prevedendo l’irreparabile, gli propose di fuggire da Cascina. Comasco, vuoi per non abbandonare la “sua” scuola, vuoi per non passare da vigliacco rifiutò. Decise di restare a Cascina dove la situazione dell’ordine pubblico si faceva sempre più grave. Era il 19 marzo 1922, quando di ritorno da una riunione a Marciana, Comasco Comaschi percorreva Via del fosso vecchio. Qui subì un agguato da parte di un gruppo fascista (mai da soli sempre in branco). Era con alcuni compagni di lotta: Pietro Bindi, Guglielmo Vagelli e Giovanni Cateni. Comasco venne colpito alla tempia da un colpo di rivoltella e morì immediatamente. Fu vano ogni tentativo di salvarlo nonostante i compagni lo avessero immediatamente trasportato alla Pubblica Assistenza di Cascina.

La missione delle camice nere era compiuta. L’uomo colto, che la pensava diversamente da loro era morto. Il giorno seguente tutta Cascina fu in lutto. Fu indetto uno sciopero spontaneo per protestare e tutti i negozi di cascina restarono chiusi.

Il delitto ebbe vasta eco anche a livello nazionale, tanto che quotidiani di larga diffusione come La Nazione e L’Avanti riportarono la notizia con una descrizione dei fatti molto particolareggiata.

I funerali di Comaschi, ai quali presero la parola per l’ultimo saluto Gusmano Mariani, Pilade Caiani e il sindaco di Cascina, Giulio Guelfi, rappresentarono per la cittadina toscana l’ultima manifestazione “libera” prima dell’avvento effettivo del fascismo.

La Polizia avviò fin da subito le indagini per risalire ai colpevoli. Un gruppo di fascisti venne arrestato, ma finirono impuniti. La corte di appello di Lucca dichiarò di non dover procedere per insufficienza di prove, con la formula “non luogo a procedere”. La scelta della Corte evidenziò, ancora una volta, quanto le istituzioni politiche e statali fossero dedite e asservite al movimento fascista. I presunti attentatori, comunque, risultano essere stati: Italiano e Giuseppe Casarosa, Gaetano Diodati, Dante Bertelli, Pilade Damiani, Giovanni Barontini, Orfeo Gabriellini, Vasco Paoletti, Francesco del Seppia e Arturo Masoni.

Dopo la seconda guerra mondiale, con il fascismo ormai sconfitto e la democrazia ripristinata, si riaprì il fascicolo sull’assassinio di Comasco Comaschi. Era il 10 marzo 1945 quando uno dei sospettati della prima ora, Orfeo Gabriellini, appena rientrato a Cascina da Brescia (dove aveva preso parte all’ex G.N.R e prestato servizio a Malarno, fino alla liberazione di Bologna) venne percosso dalla folla lungo il Corso Vittorio Emanuele (ora Corso Matteotti) perché sospettato di essere responsabile dell’omicidio di Comaschi.

Il comandante della Stazione dei Carabinieri di Cascina, riuscì ad evitare il linciaggio del Gabriellini e lo portò in caserma, dove il fascista confessò di aver partecipato all’uccisione di Comasco Comaschi e di aver dato a quest’ultimo una bastonata nel gennaio del 1922.

In seguito a questa confessione e alla conseguente nuova denuncia da parte di Vasco Comaschi, nel marzo del 1945, fu riaperto il processo che vide la condanna di Orfeo Gabriellini, Dante Bertelli, Pilade Damiani, Gaetano Diodati, Italiano e Antonio Casarosa e Felloni Giuliano, coloro che grazia ad una dittatura feroce erano rimasti impuniti.

Oggi, 122 anni dopo, nell’epoca dei social network, sarebbe bello se le istituzioni, e la scuola dove Comasco Comaschi ha insegnato e per la quale non ha voluto lasciare il suo territorio decidessero di omaggiare la figura di un uomo libero che si è battuto per la libertà delle idee e per la democrazia.

massimo.corsini