Nessuno sente o vede: la squalifica di Marconi si basa sul "fatto presunto"

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PISA e Provincia
Mercoledì, 12 Maggio 2021

Pubblicate le motivazioni. Il Giudice non si sforza neanche di inventarsi qualcosa e ammette candidamente che la squalifica di Marconi si basa solo sul fatto che i giocatori del Chievo si sono arrabbiati in campo

Dopo le 10 giornate di squalifica comminate a Michele Marconi, erano attese le motivazioni di una sentenza così pesante e che ha ribaltato completamente la sentenza di primo grado. Questa mattina la corte di Appello federale ha reso noto come si è arrivati ad una sentenza tanto pesante e c’è sinceramente da restare sconcertati. Il sospetto che fosse una sentenza esclusivamente basata su una presunzione di colpevolezza, senza il minimo straccio di prova era nell’aria, ma ci si poteva illudere che il giudice avesse uno straccio di dignità, magari inventasse “una supercazzola” per giustificare la squalifica.

Invece no. Niente di tutto questo. Si ammette candidamente che non ci sono evidenze che Marconi abbia rivolto la frase offensiva, ma che se i calciatori del Chievo hanno reagito così veementemente, significa che qualcosa di grave è stato detto e quindi considerando che a livello di giustizia sportiva « è stato affermato che per dichiarare la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare non è necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito, né il superamento di ogni ragionevole dubbio, come nel processo penale, ma può ritenersi sufficiente un grado inferiore di certezza». Tradotto per chi non è pratico né di politichese, né di termini giuridici, Marconi è stato condannato soltanto perché i giocatori del Chievo si sono arrabbiati molto e se lo hanno fatto significa che qualcosa era successo.

Dei testimoni ascoltati in appello, l’ex nerazzurro Fabbro ha ammesso di aver sentito la frase, mentre Alessandro De Vitis non ha sentito alcunché. È stato inoltre confermato che nessun soggetto terzo ha avvalorato la tesi dell’accusa e quindi udito la frase incriminata. Né l’arbitro e gli assistenti né la Procura Federale, non sono inoltre state prodotte nuove prove audiovisive. Una sentenza che, invece di essere utile alla lotta al razzismo, diventa dannosa, anzi nociva, a combattere una piaga che esiste, ma che nnon si elimina con la caccia alle streghe. Clicca qui per leggere le motivazioni complete.

massimo.corsini