A proposito di case popolari

Cronaca
Cascina
Sabato, 20 Maggio 2017

Notizia: è stata pubblicata la graduatoria per gli alloggi di Ediliza Residenziale Pubblica, gradustoria provvisoria. Dichiarazioni dell'Assessore al Welfare, Edoardo Ziello e della Sindaca, Susanna Ceccardi: ribaltata la graduatoria, le case popolari ai cascinesi, il 90% degli stranieri esclusi.

L'importanza delle parole, come si assemblano, come le si usano. Se si afferma "le case popolari prima ai cascinesi (ricordavo italiani), il 90% degli stranieri non ammesso" è molto diverso che dire "le case popolari prima a chi ne ha veramente diritto" che poi siano italiani o stranieri non dovrebbe fare la differenza.

Nella parole si legge ancora una volta la tendenza a "discriminare" sulla base del paese di origine.

Da sempre sono dell'opinione che, nell'ambito dell'assegnazione delle "case popolari", quelle di edilizia residenziale pubblica, una discriminante fondamentale dovesse essere quella della residenza nel comune in cui si fa la richiesta da almeno cinque anni. Oltre, naturalmente. ad avere tutti gli altri requisiti di legge: situazione economica, presenza di soggetti deboli nel nucleo familiare, ecc.

Ora leggendo il bando emanato dal Comune di Cascina, tra le "discriminanti" ci deve essere la dichiarazione di non possedere (e qui semplifico) altri beni immobili né nel nostro paese né in quello di origine: per i cittadini italiani basta un'autocertificazione, per i cittadini stranieri no, serve la documentazione ufficiale

Ecco cosa recita l'Art. 3 del Bando:

Al di fuori di questi casi, i cittadini non appartenenti all'Unione Europea possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 soltanto nei casi in cui la produzione delle stesse avvenga in applicazione di convenzioni internazionali fra l'Italia ed il Paese di provenienza del dichiarante. In tutti gli altri casi, le qualità personali ed i fatti sono documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall'autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all'originale. Si precisa che anche per i soggetti UE, di origine non italiana, per le finalità di rilevante interesse pubblico, di cui all’art. 43 comma 2 del DPR 445/2000, si renderà necessario presentare i certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero di origine e/o provenienza. Tali certificazioni devono essere presentate, entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, non solo dal soggetto che sottoscrive la domanda, ma anche da tutti i componenti il nucleo familiare di origine non italiana che alla data di apertura del bando abbiano compiuto il diciottesimo anno di età. A tutte le certificazioni redatte in lingua straniera deve essere allegata una traduzione in lingua italiana, conforme al testo straniero, effettuata dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare, ovvero da un traduttore ufficiale.

Scorrendo le graduatorie "provvisorie" si nota come tra gli ammessi ci sono pochissimi stranieri  che sono riusciti a presentare la documentazione necessaria.

Tra gli esclusi, 89 in tutto, 69 sono stranieri e 20 italiani.

Ricordo che le domande dovevano essere presentate dal 18 ottobre 2016 al 19 dicembre 2016, due mesi di tempo, ricordate bene, due mesi e la documentazione doveva essere fatta pervenire entro due mesi dalla domanda.

Sono andato su un sito internet http://forebears.io/surnames, dove, digitando i vari cognomi, scaturisce una tabella con la nazione in cui quel cognome è maggiormente frequente. E' molto interessante.

Bene tra i 69 esclusi si trovano le provenienze più disparate: dall'India al Pakistan dalla Somalia all'Etiopia, dal Senegal alla Mauritania, dalla Guyana al Bangladesh, molti dall'Albania, ma non la maggioranza, e dal Marocco.

Che tutte queste 69 famiglie abbiano qualcosa da nascondere? Proprietà immobiliari di chissà quale valore? Usurpatori di diritti altrui?

Non so, ma se provo a fare una richiesta attraverso la mia ambasciata o al consolato del mio paese che deve comunicare con l'ufficio competente dello stato di provenienza, trovare il giusto impiegato, spiegargli che devono inviare un certificato di non possedimento di beni immobili o al contrario di un "manufatto" costruito in qualche sperduto paesino del Marocco o della Somalia (provate voi a chiamare l'ufficio del catasto somalo, paese in guerra perenne ormai da oltre trenta anni), forse, in due mesi, avrei qualche difficoltà.

Senza dimenticare che ci possono essere altri "spiacevoli" inconvenienti: da questioni di dissenso politico a quelle più strettamente familiari.

Certo, qualcuno in passato forse ha fatto il "furbo",  ma mi sembra che gli stranieri non siano i soli a farlo in Italia (dalle invalidità finte, all'abuso della 104).

Qualcuno potrebbe obiettare che se ci sono delle precise regole, queste le si devono far rispettare, giusto, ma va anche ricordato che leggi, oltre a farle applicare, si devono anche saper interpretare, adeguare ai tempi e nel caso riformarle.

Come anche va ricordato la colpa del ceto politico italiano (nazionale e regionale) sui mancati investimenti nel settore dell'ediliza residenziale pubblica negli ultimi trenta anni e che la regola citata nell'articolo è applicata in modo bipartisan dai vari schieramenti: centro sinistra e centro destra.

Ricordo degli anni '70. Famiglia di origini calabresi, proveniente dalla Sila, la profonda Sila, giunti in Toscana, in uno dei tanti piccoli nostri "borghi" dove l'industria e l'artigianato navigavano a gonfie vele. Famiglia con due bambini, molto povera, in cerca di un "riscatto".

Lasciano la loro terra dove vivono ancora molti loro parenti, dove hanno ancora una casa, sperduta in mezzo ai monti, in uno di quei paesi da cartolina, ma niente di più. Il "capofamiglia" (come si usava dire) cerca lavoro, lo trova e al tempo stesso però fa richiesta per una casa popolare perché con il suo stipendio non può farcela a sostenere tutta la famiglia, a pagare un affitto elevato, figuriamoci a comprare casa (quella del paese di origine non ci pensa a venderla, anche perché il valore è bassissimo e poi chi gliela compra). All'epoca ancora si costruivano le case popolari e riesce ad ottenerla. Se fosse accaduto oggi non ci sarebbe riuscito, perché non basta chiedere di non possedere altri immobili, ma si dovrebbe chiedere dove li si possiede, quanto vale quell'immobile. Una regola così sterile, avulsa da qualsiasi contesto geografico, politico ed economico, non ha nessun senso.

Ah, dimenticavo, i figli di quel calabrese oggi sono due affermati professionisti ( si perché, all'epoca, c'era stata la conquista del diritto allo studio e anche il più umile manovale poteva iscrivere i propri figli all'università per un futuro migliore).

 

luca.doni