"Una cosa enorme" di Fabiana Iacozzilli alla Città del Teatro di Cascina
Dopo il debutto in prima nazionale alla Biennale Teatro 2020 diretta da Antonio Latella, Una cosa enorme di Fabiana Iacozzilli sarà in scena alla Città del Teatro di Cascina, sabato 6 novembre alle ore 21
Lo spettacolo vede protagonisti Marta Meneghetti e Roberto Montosi. Le scene sono di Fiammetta Mandich, le luci di Luigi Biondi e Francesca Zerilli, il suono è curato da Hubert Westkemper (premio Ubu 2019 per La classe). Una coproduzione Cranpi, La fabbrica dell’attore-Teatro Vascello Centro di Produzione Teatrale, Fondazione Sipario Toscana, Carrozzerie | n.o.t.
In scena una donna con una pancia enorme. È incinta da un tempo indefinito e da un tempo infinito trattiene e ritarda l’evento. Sì lo trattiene, ma per vivere che cosa di altro?
Siamo in uno spazio dell’anima, in uno spazio in cui l’anima gesticola e ci fa interrogare sulla nostra condizione di donne e uomini perennemente in bilico tra il voler essere genitori e il rimanere figli, ma anche su un’altra questione: nel momento in cui dai la vita a qualcuno lo stai più semplicemente condannando alla morte?
Fabiana Iacozzilli racconta così il suo processo creativo:
«Le domande intorno alle quali m’interrogo in relazione a questo spettacolo sono: “perché ho così tanta paura di mettere al mondo un figlio?”, “perché ho così tanta paura di dire che non voglio mettere al mondo un figlio?” e soprattutto “voglio essere madre oppure posso non esserlo?”.
Orna Donath è una ricercatrice israeliana che nel libro, "Regretting Motherhood", ha raccolto storie in forma anonima di madri pentite. Portano dentro di sé un segreto inconfessabile, una sensazione di colpa, frustrazione, vergogna, rimpianto. Non vorrebbero essere mai diventate madri. Sanno che se confidassero il loro sentimento la società le umilierebbe.
Charlotte, madre di due figli, uno tra i 10 e i 15 e uno tra i 15 e i 20 anni dice:
“Vede è complicato, perché mi pento di essere una madre, ma non mi pento di loro, di chi sono, della loro personalità. Io queste persone le amo. Sono pentita di avere avuto dei figli e di essere diventata mamma, però amo i miei figli. Ecco, sì, è una cosa che non si può spiegare. Perché se fossi pentita allora vorrei che non esistessero. Ma io mica vorrei che non esistessero, semplicemente non vorrei essere madre.”
Sheila Heti nel suo diario intimo Maternità si pone la domanda “dovrei fare un figlio?” e in un gioco feroce di autoanalisi e messa in discussione di sé cerca di ponderare la scelta fino ad arrivare a una frase che ha illuminato la mia ricerca artistica “se voglio figli o meno è un segreto che nascondo a me stessa: è il più grande segreto che nascondo a me stessa”.
Gli sguardi e i dubbi di queste autrici, le voci e le storie delle donne e degli uomini che ho intervistato nel corso dell’ultimo anno hanno messo in crisi e alimentato la mia ricerca e sono diventate cuore pulsante dello spettacolo. Questo perché alle basi della storia della maternità c’è un fatto apparentemente semplice: tutti gli esseri umani di questo pianeta sono stati partoriti da una femmina ma nessuna donna femmina è nata madre.
Lo spettacolo è dunque un oggetto emotivo che s’interroga sulla paura e sul desiderio dell’abbandonare se stessi alla cura di un altro essere umano, che s’interroga su una questione che appartiene a ogni donna, alla sua condizione esistenziale – che sia madre o che non lo sia – e che ha a che fare con una domanda semplice ma per niente consolatoria: “forse, alla fine, si è madri comunque?”