Caos post occupazione. Togliere le gite? Dal Pesenti "Una scelta profondamente sbagliata"
Una madre e ricercatrice prende carta e penna e contesta nel profondo la scelta dell'Istituto. "Perché non viene tolta l’ora di italiano?". E sul disagio giovanile e le devastazioni: "E’ necessaria una risposta istituzionale, collettiva"
Negare le gite e i viaggi d'istruzione, non solo è sbagliato teoricamente, ma comunica implicitamente alle nuove generazioni che "non crediamo nei modelli educativi che pubblichiamo, studiamo e deliberiamo", "che possiamo cambiare modelli a nostro comodo", che "dobbiamo cambiare i comportamenti 'deviati' senza ricercarne i motivi".
A scrivere e a riaccendere il dibattito intorno alla decisione del Consiglio d'Istituto del Pesenti di Cascina, che nel dopo occupazione ha eliminato per l'anno scolastico in corso le gite e le uscite, è una mamma e ricercatrice delle neuroscienze dello sviluppo, rimasta colpita, negativamente, dalla decisione della scuola.
Secondo la madre-ricercatrice, la scelta dell'Istituto resta profondamente sbagliata, soprattutto dopo il periodo della Pandemia, per il messaggio implicito che lancia agli studenti e alle studentesse. Negativo anche il possibile impatto che la decisione potrebbe avere sui ragazzi e le ragazze, cui saranno sottratte opportunità di apprendimento, di relazione, di benessere.
In calce, la mamma-ricercatrice lancia un appello. "E’ necessaria - scrive - una risposta istituzionale, collettiva che porti ad una sintesi co-costruita dei bisogni di tutta la comunità".
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Questo il testo intergrale della lettera.
Sono una madre e sono una ricercatrice nell’ambito delle neuroscienze dello sviluppo.
Scrivo al fine di contribuire al confronto che si sta creando in merito alla decisione del CdI dell’Istituto Pesenti di revocare ogni gita di istruzione a seguito dei danni provocati dall’occupazione dell’istituto a dicembre scorso.
Dai verbali e dagli articoli sui quotidiani, apprendo che la decisione è stata presa non tanto per motivi logistici (es. le segreterie non hanno potuto lavorare in tempo utile) o economici (es. recuperare dalle gite i fondi per coprire i danni subiti) ma piuttosto educativi e, a tal fine, è stato deciso anche di promuovere un corso formativo sulla legalità.
Questa seconda azione, indubbiamente educativa, in quanto arricchisce l’ambiente dei ragazzi, non compensa, a mio avviso, l’azione di privazione di un processo (le gite di istruzione) che il Ministero dell’Istruzione e del Merito riconosce a tutti gli effetti come formativo e porta anche a negare una richiesta, spesso soffocata, di ascolto da parte dei giovani. Un ambiente deprivato e stressato è nocivo per la maturazione del cervello, per l’apprendimento e per il benessere generale.
Perché non viene tolta l’ora di italiano? Se è perché “farebbe meno male” si tratta di punizione e non di educazione. Se è perché è “più utile”, significa che continuiamo a vincolare le scelte formative a dicotomie ormai confutate dalle neuroscienze. Non si apprende soffrendo, non si apprende stando fermi, non si apprende soli! Dalla scuola italiana scappano famiglie del nord Europa spaventate dalla sedentarietà del sistema, alla scuola dell’infanzia e primaria l’uscita in giardino e la palestra sono spesso usati come “contentini” o punizioni dei comportamenti della classe, durante la pandemia da Covid-19 abbiamo visto eliminare palestre e gite senza perdere l’ossessiva attenzione ad obiettivi di prestazione e, adesso, diciamo che è educativo togliere una parte dell’offerta formativa perché si tratta di gite.
Non solo questo è sbagliato teoricamente e dovrebbe far riflettere le comunità educative, scientifiche e politiche, ma porta purtroppo con sé una comunicazione implicita alle nuove generazioni. Questa comunicazione dice che: 1. Non crediamo nei modelli educativi che pubblichiamo, studiamo e deliberiamo; 2. Possiamo cambiare modelli a nostro comodo; 3. Dobbiamo cambiare i comportamenti “devianti” senza ricercarne i motivi.
Oggi, 2025, si parla di un disagio giovanile che copre più del 50% della popolazione. Forse contribuiscono le pandemie, i lockdown, le guerre, le crisi climatiche…. ma c’è un fatto, molti ragazzi stanno male. A loro, quelli che fanno autolesionismo, che sono consumati dall’ansia e dalla depressione, che deviano il comportamento alimentare o sociale, noi oggi sottraiamo opportunità di apprendimento, di relazione, di benessere.
Non intraprendiamo un percorso di ascolto, di co-costruzione di eventuali soluzioni, ma dall’alto imponiamo una deprivazione “educativa” (??), come se tutto ciò che hanno già vissuto e vivono non fosse abbastanza.
Chi ha creato 40.000 euro di danni al Pesenti è una minoranza di ragazzi che, probabilmente, dovrebbero lavorare su difficoltà del comportamento sociale. Tutti gli altri, la maggioranza, sono oggi accusati di aver gestito male, in modo improvvisato e poco maturo l’occupazione, e perciò ne sono responsabili e ne devono pagare le conseguenze.
Con questo chiudiamo la comunicazione con la maggioranza dei ragazzi e li spingiamo a continuare a tenere nascosti i disagi che vivono e a consumarli nei bagni delle scuole e delle case.
So bene che ci sono ottimi sportelli di ascolto psicologico e progetti per il disagio giovanile, ma finché continuiamo a pensare che i problemi siano del singolo o “di loro”, giovani, diversi da noi, non aiuteremo nessuno e i disagi si moltiplicheranno.
Oggi è urgente una risposta che ci veda tutti responsabili, che apra il dialogo sui bisogni e sulle paure e questa non può avvenire grazie alla buona volontà di alcuni docenti che in classe ritagliano, dalle proprie ore, il tempo per discutere dell’occupazione.
E’ necessaria una risposta istituzionale, collettiva che porti ad una sintesi co-costruita dei bisogni di tutta la comunità.